collette su, collette giù: la 3a via
di Roby Noris
I media nostrani hanno dato spazio ad una lamentela di una famosa organizzazione umanitaria ticinese che segnala una diminuzione di offerte e un conseguente deficit. Accanto il CdT ha dato spazio a un'altra organizzazione che si rallegra del fatto che le collette vanno bene.
Ma c'è una terza via, ignorata dai suddetti media, perché strana, forse fuorviante, perché non rientra nello schemino preconcetto: non fare collette e fondare il sistema di finanziamento dell'attività sociale su forme produttive, su iniziative e progetti che permettono di guadagnare, che si inseriscono nel mercato economico. Questa opzione per Caritas Ticino, che l'ha adottata da molti anni, abolendo ogni forma di colletta, si chiama "Social Business" secondo un modello sviluppato dal Nobel Muhammad Yunus. Negli anni novanta ci si è resi conto che quella forma di finanziamento delle organizzazioni socio/caritative tramite raccolte di fondi, non sarebbe stato più possibile come in passato quando si delegava la solidarietà collettiva e individuale a organizzazioni "targate" ideologicamente: i cattolici sostenevano la Caritas, quelli "non" la Croce Rossa e quelli di sinistra Soccorso Operaio. All'epoca abbiamo capito che stava avvenendo un profondo cambiamento sia a livello di partecipazione diretta del pubblico, sia a livello di richiesta di trasparenza e di possibilità di scelta non più legata all'appartenenza ideologica ma al grado di efficienza reso pubblico. Accanto a questa considerazione di uno stato di fatto, c'è stato un cambiamento profondo nel nostro modello di intervento e di conseguenza anche sui mezzi da reperire per realizzare il nostro mandato sociale affidatoci dalla chiesa locale. Da qui tutto lo sviluppo di un concetto di Social Business che non considera più il fundraising, la ricerca fondi, come il mezzo per finanziare le attività ma le attività produttive o alcuni finanziamenti dello Stato. I finanziamenti statali sono accettabili in un modello Social Business quando si opera in sostituzione del settore pubblico che ha alcuni compiti precisi ma può delegarli ad organismi esterni: i programmi occupazionali ad esempio, siccome inseriscono persone con difficoltà, devono colmare il gap produttivo che non dovrebbe esistere se le persone inserite fossero efficienti al 100%.
Quindi produzione di mezzi finanziari per realizzare il lavoro sociale. Questa è la terza via che dovrebbe essere presa più sul serio dalle organizzazioni che si lamentano della diminuzione di sostegno, ma anche da quelle che non hanno problemi, perché il loro modello di finanziamento filantropico non durerà se non in situazioni di emergenza eccezionale dove non c'è il tempo per immaginare altro, ma la gestione normale dell'impegno sociale privato dovrebbe davvero cambiare rotta. Noi ci stiamo provando non chiedendo più soldi con collette ma cercando di guadagnarli.
Nessun commento:
Posta un commento